La misura in cui l’uomo è persona nell’ordinamento giuridico è rappresentata dai diritti della personalità, quale forma essenziale di tutela di quelle prerogative essenziali, che ogni essere umano può legittimamente vantare nei rapporti con i terzi e nell’intera società.
Oggi associamo in maniera quasi automatica e scontata che persona è l’essere umano titolare di diritti fondamentali dimenticando che tale definizione è un percorso lungo e accidentato.
Il percorso storico possiamo dire che sia invertito rispetto a quello giuridico, nel senso che, sul piano sistematico, troviamo i diritti fondamentali (vita, salute libertà), diritti politici, diritti economici, diritti civili, mentre sul piano storico dell’ordinamento giuridico diritti economico-patrimoniale diritti civili, diritti politici, diritti fondamentali della persona.
Nell’ambito dei diritti fondamentali della persona si distinguono, poi, diverse categorie (filosofiche, sociologiche, religiose); tralasciando le divergenze sulle origine storiche (rivoluzione industriale anziché rivoluzione Francese, dove libertà e uguaglianza sono affermazioni di diritti politici, libertà del cittadino rispetto alla organizzazione statuale e non tutela dell’uomo in quanto tale), l’affermazione, come tale, si ha solo nel secondo dopoguerra dove la tutela della persona è stata associata al tema dei diritti inviolabili della persona (Dichiarazione Universale Dei Diritti Dell’uomo 1948, Convenzione Europea Dei Diritti Dell’uomo 1950, Patto Internazionale Sui Diritti Umani Civili 1966).
Il nostro codice civile non dà particolare risalto ai diritti della personalità, ne identifica solamente quattro: diritto all’integrità fisica, diritto al nome, diritto allo pseudonimo, diritto all’immagine (da art. 5 ad art. 10 codice civile). Dottrina e giurisprudenza, poi, hanno enucleato un quadro più ampio: vita, onore, reputazione.
Da questo punto di vista possiamo individuare tre ambiti:
All’interno dello studio che si prefigge di individuare il contenuto del diritto all’identità personale la dottrina maggioritaria ha inserito, da tempo, anche quello di ottenere la rettifica degli atti di stato civile conforme alla propria effettiva inclinazione sessuale e conformazione somatica, ciò che viene definito come diritto all’identità sessuale, anche se non dobbiamo sottacere quanti, in dottrina, distinguono il diritto alla identità personale da quello all’identità sessuale, ritenendolo un artificio giuridico, e quanti, ritenendo tale accostamento del tutto improprio, circoscrivono il diritto all’identità personale a ciò che è connesso alla propria immagine e opinione nella collettività.
In ogni caso il riconoscimento di tale diritto (identità sessuale) è stato ricondotto alla protezione della integrità fisica e alla problematica degli atti di disposizione del proprio corpo.
In un primo tempo vi era stato un orientamento restrittivo della giurisprudenza sia costituzionale (sentenza n. 68 del 01.08.79) sia della Cassazione (sentenza n.2161 del 03.04.1980) in virtù delle quali nel nostro ordinamento non era consentita una qualificazione sessuale fondata esclusivamente sulla psicosessualità. Il sesso era quello determinato alla nascita.
Con il passare del tempo e l’aumento di casi e problematiche di ermafroditismo, ha visto la giurisprudenza orientarsi sul carattere della prevalenza, pertanto il sesso anagrafico e sesso biologico venivano a coincidere. Successivamente è stato messo in discussione l’univocità di tale criterio, soprattutto quando il dato reale e quello accertato anagraficamente non sono più coincidenti. Iniziano così aperture a criteri diversi da quello della prevalenza, suggerendo riferimenti a profili psicologici e sociali, a caratteri esterni, ai comportamenti più che ad elementi somatici ed ormonali, sul presupposto che il diritto disciplina i rapporti sociali e, pertanto, si è reso necessario assumere come dato di regolamentazione “ciò che appare” più di “ciò che è”.
La risultante è stata la legge 14 aprile 1982 n.164 che ha ammesso la rettificazione di sesso, legge per così dire, ratificata dalla Corte Costituzionale n. 161 del 06.05.1985 che ha ritenuto legittimo il mutamento di sesso sulla base di convincimenti psico-sessuali e di fatto affermato l’esistenza di un diritto all’identità sessuale quale species del più ampio diritto all’identità personale. In buona sostanza la consulta ha riconosciuto il contrasto tra sesso psicologico e sesso biologico e ha ammesso che il legislatore abbia accolto un concetto nuovo di identità sessuale che tiene conto non solo dei caratteri sessuali esterni ma anche di elementi di carattere psicologico e sociale privilegiando “il” o “i” fattori dominanti (sesso come dato complesso della personalità).
Stante quanto sino ad ora esposto che possiamo, però, sostenere l’esistenza di un diritto al genere nell’ambito dei diritti della personalità?
A tal proposito vorrei riprendere gli atti di un congresso tenutosi a Perugia nel novembre di 6 anni fa sull’identità di genere ed in particolare su aspetti giuridici di cui è stato relatore il Prof. Michele Costantino, Prof. ord. Di Istituto di Diritto Privato dell’Università di Bari le cui conclusioni sono state: “Non esiste occasione, situazione, rapporto in cui non possano essere riconosciuti diritti o forme di tutela di individui di genere diverso da maschio e femmina”.
Lo stesso partiva da osservazioni preliminari:
In tutti questi casi ed in casi consimili, non avrebbe senso domandarsi se, oltre alla parità di trattamento tra individui maschi e femmine, debba assicurarsi o già sia in vigore la regola di tutelare individui di natura diversa, quali omosessuali, lesbiche, transgender, bisessuali.
Abbiamo già detto che i desideri sono privi di rilevanza giuridica, ma rimettono all’interlocutore la loro realizzazione; i DIRITTI, invece, poiché implicano riconoscimenti di apprezzabilità sociale e giuridica, annunciano che potrà farsi ricorso agli strumenti disponibili di tutela in caso di elusione. Qualunque discriminazione praticata nei confronti di individui che hanno orientamenti e tendenze sgraditi al responsabile è da considerarsi illecita o illegittima, questo non significa che sono tutelate quelle tendenze od orientamenti che fanno parte della natura umana.
E’ vero che in passato le discriminazioni che hanno dato luogo a crociate, schiavitù ed olocausto (infedeli, negri, ebrei) sono state fondate sulla diversa rilevanza e funzione (di infedeli, negri ed ebrei), ma questo non consente di assegnare alla qualità e condizioni umane di quest’ultimi natura e funzione diversa. In altre parole sarebbe inutile argomentare dalla illiceità o illegittimità di discriminazioni praticate nei confronti di individui per orientamenti o tendenze sessuali sgraditi, al fine di farne derivare la conseguenza che questi ultimi sono da riconoscere o promuovere più di quelli che in passato sono stati vittime di discriminazioni.
In tal senso la risoluzione del Parlamento Europeo del 29/09/2011 sui diritti umani, orientamento sessuale e identità di genere nel quadro delle N.U. con cui si invita a rimuovere le discriminazioni di tali ordini, non va interpretata nel senso di promuovere forme di tutela promozionali e diverse di omosessuali, transessuali e transgender. In tutti questi casi la lotta contro la discriminazione non va intesa come promozionale di tutela positiva di una specifica natura o tendenza. Consideriamo positivamente Regole giuridiche che impongono di tener conto dell’identità di genere al fine di stabilire tutele diverse di individui maschi e femmine in situazioni specifiche (es. sport, lavoro faticoso); in questi casi l’identità di genere è riconoscimento di peculiarità specifiche al fine di eliminare disparità di trattamento (es. tutela delle lavoratrici madri) e le regole del diritto devono tener conto delle differenze tra uomo e donna.
La risultante sarebbe quella di creare una parità di genere che prescinda dall’identità sessuale con azzeramento di quest’ultima. Purtroppo quello che sembra essere una tematica fuori da ogni logica è più incalzante di quanto si pensi: basti pensare a quanto è apparso su avvenire.it “In California dal 2018 il genere neutro nell’atto di nascita” .