ESSENZA DELLA PERSONA E SUA DIMENSIONE ANTROPOLOGICA
Perugia, Centro Mater Gratiae – Montemorcino
6 novembre 2017, ore 16,00/19,00
(Sintesi dell’intervento di Antonio Allegra)
Il rapporto tra corporeità e cristianesimo si fonda a partire da una capitale affermazione di positività del corpo, a partire dalla creazione dello stesso da parte dell’unico Dio (e non da parte di una divinità differente, o addirittura malvagia, come accade nelle visioni dualiste o gnostiche). La stessa sessualità, dunque, in quanto legata alla corporeità, attiene a questa sfera essenzialmente positiva, come indica il suo ruolo nella procreazione e dunque nel mantenimento nel corso del tempo della creazione, in una sorta di collaborazione dell’uomo al piano divino. Questo primo punto naturalmente non significa oscurare le molteplici complicazioni che si affollano sul tema, dalle istanze ascetiche, alla necessità di vedere nella sessualità, in ogni caso, un ambito non esclusivamente corporeo bensì ricco di valenze mentali, culturali, etc. Ma appunto, la chiave di lettura più opportuna cerca di mantenere la compresenza di tutti gli aspetti dell’esperienza umana. La visione di un’integrazione che cerca di comprendere le differenti sfere di un antropologia completa si ritrova in Deus caritas est (2005): “Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità”: dove è significativa l’affermazione che a perdere dignità sia anche lo spirito, oltre al corpo, laddove abbia luogo il rifiuto del corpo da parte dell’uomo.
Dalla pregnanza di questa dimensione corporea deriva in qualche modo il dato di fatto per cui non esiste persona asessuata, nel senso di priva di una sorta di identità originaria e nativa. (Anche coloro che fuoriescono da canoni di identità sessuale standard possiedono, proprio in questo, un loro modo di essere). Mentre la creazione dell’umanità in maschio e femmina rappresenta la versione biblica di questa antropologia, confermata dal simbolismo nuziale tra Dio e il suo popolo così come tra marito e moglie (Geremia, Efesini), anche il femminismo della differenza (Muraro, Irigaray) aveva efficacemente insistito su tematiche attinenti alla corporeità e identità femminile (e maschile), configurandosi in termini molto diversi da quelli che prevalgono oggi nel discorso pubblico – e nello stesso femminismo.
Differenza e completamento, così come corporeità e spiritualità, sono dunque, in sintesi, la chiave di questa visione dell’umano. Ma proprio nella sua complessità questa visione è in un certo senso particolarmente ardua da mantenere nel suo equilibrio. E in specie la modernità ha visto avanzare la scissione. Fin dal suo inizio in Cartesio, la cultura filosofica avanza una separazione che afferma volta a volta lo spirito oppure la carne, senza possibilità di autentica integrazione. Nell’aneddoto di Gassendi e Cartesio, che si rimproverano l’un l’altro di considerare solo una parte del complesso di spirito e corpo e di fare di quella parte la chiave del tutto, si trova in un certo senso prefigurata la vicenda successiva della nostra cultura. Apparentemente dominata da una progressiva prevalenza di una visione materialista, in realtà immagini di disincarnazione sono in essa costantemente presenti ed esprimono una paura del corpo e della sua progressiva ed inarrestabile decadenza. L’odierno transumanesimo afferma così il progetto di una sorta di liberazione dai confini e limiti del corpo dato, della natura che siamo. Sfruttando il dato di fatto che in essa non ci identifichiamo totalmente, che l’esigenza di trascenderne i limiti e operare tecnicamente fa parte anch’essa della condizione umana, pretende di operare uno sganciamento definitivo dell’uomo venturo dal suo passato limitato e finito.
Ora, i diritti dell’uomo, estesi progressivamente nel dopoguerra fino al riconoscimento dell’identità sessuale, hanno a che fare proprio con lo spessore della persona completa, fatta di mente, o spirito, e corpo. Ma le tematiche di gender, pur avanzate all’interno di tale rivendicazione dei diritti, hanno invece a che fare, anche esse, con il superamento della corporeità. Si apre dunque qui uno spazio di contraddizione. Come ho detto, le istanze di liberazione dai limiti che il corpo detta sulla nostra libertà non sono affatto terminate col tramonto apparente delle tendenze spiritualiste: prendono eventualmente una forma diversa, meno consapevole e proprio per questo particolarmente incisiva. In qualche modo la visione moderna della sessualità costituisce una vicenda molto istruttiva del progressivo superamento della naturalità. Dalla definizione dell’identità sessuale a partire dai caratteri esterni macroscopici, si è andati in direzione dei caratteri cromosomici interni, non necessariamente coincidenti con l’apparenza esteriore. Questo ha reso, per così dire, meno leggibile e diretta la fase di attribuzione dell’identità, anche se evidentemente i casi di discrepanza sono una netta minoranza e attengono alla patologia. Ma poi, l’attribuzione è stata fatta dipendere, ancora più in profondità, dal dato mentale. Adesso ciò che conta davvero è, dichiaratamente, quello che ci si sente di essere. Ma se è la mente a decidere, l’esito non può che essere la fluidità, almeno potenziale, dei caratteri, dato che la mente possiede uno spazio di libertà certamente superiore al corpo. In un certo senso l’unico genere appropriato diviene il neutro, sempre disponibile al cambiamento, non predeterminato, aperto ad una variabilità infinita che afferma la capacità del singolo di fare genere per se stesso, individualmente, e anzi momento per momento.
Mentre il narcisismo rischia di richiudere ogni soggetto in una pretesa autonomia ed autosufficienza, la cui chiave di volta è il progetto di fare a meno della controparte, la relazione uomo-donna all’insegna della reciprocità è il nucleo fondante della famiglia. La presenza storica di vari tipi di famiglia, relativamente numerosi, non deve oscurare questo senso fondamentale della sua origine, questo nucleo che la caratterizza. Per Aristotele come per Vico, come per Hegel, e numerosi altri, la famiglia trova origine in questa apertura tra diversi che da iniziò alla società umana in tutta la varietà e ricchezza delle sue articolazioni. Testimonianze archeologiche (come la cosiddetta Famiglia di Eulau, che proviene da una tomba trovata a Eulau (Sassonia), datata a 4.600 anni fa) certificano l’antichità e riconoscibilità di questa struttura fondamentale della società umana.
Questo tipo di visione che valorizza reciprocità e dualismo è in grado di spiegare perché anche società che hanno un atteggiamento tollerante nei confronti delle relazioni omosessuali (le quali talvolta assumono caratteri che più correttamente le classificherebbero di tipo pederastico) non le considerano matrimoniali, tantomeno familiari. È il caso del mondo classico. In Grecia, al momento della maturità ovvero dell’ingresso nell’età adulta, al giovane che era stato coinvolto, in ruolo passivo, all’interno della relazione omosessuale-educativa, è richiesta l’assunzione di un ruolo diverso ed attivo. La maturazione implica l’apertura ad un ruolo sociale che si incentra anzitutto nella creazione di una famiglia, oltre che nella funzione politica.
Né in Grecia né a Roma esistono esempi di matrimonio omosessuale, con un paio di eccezioni legate alle immagini negative tramandateci di imperatori come Nerone ed Eliogabalo. Il senso è chiaro: l’anomalia del rito celebrato, vero o presunto che sia, serve ad accrescere, in una sorta di damnatio memoriae, l’immagine mostruosa che si associa, nella cultura romana, ai loro nomi.
L’analisi su questo tema dovrebbe certo proseguire per essere maggiormente completa e storicamente puntuale, ma qui mi interessava solo mostrare, come detto, che l’omosessualità praticata o anche socialmente accettata, e perfino approvata, è tutt’altro dallo specifico istituto familiare, che ha una natura differente legata tra l’altro, come ho cercato di suggerire, all’accettazione più piena della sfera corporea nella sua irriducibile dualità, e insomma di un’antropologia autentica di quello che davvero significa essere persone umane.