2017-11-06
In Europa, in America, in America Latina, in Africa, in alcuni Paesi dell’Asia, ci sono vere colonizzazioni ideologiche. E una di queste – lo dico chiaramente con “nome e cognome” – è il gender! Oggi ai bambini – ai bambini! – a scuola si insegna questo: che il sesso ognuno lo può scegliere. E perché insegnano questo? Perché i libri sono quelli delle persone e delle istituzioni che ti danno i soldi. Sono le colonizzazioni ideologiche, sostenute anche da Paesi molto influenti. E questo è terribile.
(Papa Francesco, Discorso alla Giornata Mondiale della Gioventù, Cracovia 27 luglio 2016)
Come rispondere in modo consistente alla deriva etica conseguente alla diffusione della cosiddetta “teoria”, o piuttosto ideologia, “gender”? Si tratta di riproporre una concezione della natura o essenza dell’uomo. Ricordiamo il famoso “mito” platonico della biga alata narrato nel Fedro: la natura dell’uomo, la struttura dell’anima umana, è raffigurata poeticamente da Platone come una biga alata guidata da un auriga (la ragione) e trainata da due cavalli, uno bianco docile ai comandi (le passioni) ed uno nero ribelle (gli impulsi inferiori della nutrizione e della riproduzione). L’auriga cerca di portare il carro verso l’alto per contemplare l’“iperuranio”, il cielo al di sopra del cielo, “luogo” divino della verità e dei valori, ma ci riesce solo in parte: a causa degli scarti del cavallo nero la biga precipita infatti sulla terra, dove si incarna e conserva il ricordo di ciò che ha visto del mondo superiore.
In questa visione, sviluppata poi dalla filosofia del Cristianesimo, l’uomo ha una sua natura o essenza specifica costituita dal logos, dalla ragione, ossia da ciò che lo distingue dagli altri animali (che hanno, come l’uomo, gli impulsi inferiori ed in parte anche le passioni, ma non hanno, a differenza dell’uomo, la ragione). L’uomo ha pertanto un fine da realizzare e ciò costituisce il suo dover-essere, il suo dovere morale. Ma, dal momento che è un essere dotato di libertà in quanto possibilità di scegliere, di libero arbitrio ovvero, per dirla con S. Agostino, della “libertà di peccare o non peccare” – l’altra fondamentale caratteristica che distingue l’uomo dagli animali governati dall’istinto – egli può anche non obbedire alle norme morali e quindi non realizzare la propria essenza.
Va aggiunto che realizzare la propria essenza significa per l’uomo attuare pienamente la sua libertà: la libertà autentica consiste infatti nell’autodominio o governo di quelle passioni che, lasciate a se stesse, rendono appunto l’uomo schiavo. Questa libertà – superiore alla mera libertà formale di scelta che ne è solo l’indispensabile presupposto – è quella che S. Agostino chiama “libertà di non peccare” ossia di realizzare le possibilità buone presenti nella natura umana. Realizzare la propria essenza significa, infine, realizzare nel contempo la propria felicità: ogni ente che è in grado di realizzare la propria natura è felice ed è infelice se ne è impedito;
la soddisfazione disordinata delle passioni può produrre piacere, ma non certo la felicità.
L’etica, il complesso delle norme morali, ha quindi una base teleologica ovvero finalistica: devo fare l’azione X o Y, perché in tal modo realizzo il fine della mia natura. Negare la base teleologica dell’etica, la nozione cioè di una essenza o natura umana, significa negare la possibilità stessa dell’etica e approdare al relativismo (tutto è permesso, ognuno può fare ciò che vuole), che è appunto il presupposto implicito della ideologia “gender”.
Ma in che cosa propriamente consiste tale ideologia? La disputa sulla esistenza o meno di una “teoria gender” è del tutto oziosa. Di “teoria gender” parla proprio Judith Butler, l’esponente più nota dei cosiddetti “gender studies” (si veda, ad esempio, la sua intervista a “Le Nouvel Observateur” del 15 dicembre 2013). La teoria o ideologia “gender” può assumere forme diverse, ma ha un chiaro denominatore comune costituito dalla tesi seguente: le caratteristiche sessuali di tipo biologico (anatomiche, ormonali, neurologiche), la cui esistenza è innegabile, sono comunque irrilevanti ai fini della determinazione dell’orientamento sessuale, della cosiddetta identità di genere. Il sesso biologico non avrebbe quindi nulla a che fare con tale identità concreta, che sarebbe un puro costrutto culturale. Questa costruzione culturale fino ad oggi si sarebbe storicamente manifestata come imposizione di regole (repressive) di tipo patriarcale-maschilista e con la conseguente assunzione della famiglia eterosessuale monogamica a modello unico normativo. Sarebbe però venuto finalmente il momento di liberarsi da questo “stereotipo” per restituire agli individui la loro piena capacità di autodeterminazione, la libertà di scegliere la propria identità di genere, ricorrendo, se del caso e volontariamente, anche a tecniche farmacologiche e chirurgiche di “sex-reassignment” o, meglio, di “gender-reassignment”
L’errore è sempre costituito da una verità parziale assolutizzata. La costruzione dell’orientamento sessuale negli esseri umani, a differenza di quanto avviene negli animali, è infatti indubbiamente un processo culturale e non un automatismo biologico, e i diversi modi di espressione della sessualità sono ovviamente prodotti storici e culturali (si pensi all’erotismo o, all’opposto, all’amor cortese). Ciò è vero per tutte le manifestazioni della vita umana che presuppongono, tutte, una base biologica. Così la gastronomia, ad esempio, è un prodotto culturale vario e complesso. Da ciò non segue tuttavia che la base biologica sia irrilevante e nemmeno che non sia possibile una normatività (tanto in gastronomia quanto nel comportamento sessuale): non è possibile infatti una gastronomia che prescinda dalla natura dell’apparato gastro-intestinale dell’uomo, il quale non può, per esempio, cibarsi di cellulosa, perché non ha (a differenza delle termiti) gli enzimi che la rendono digeribile. Non solo, ma anche in campo gastronomico esistono regole e norme che riguardano il gusto (il noto adagio “de gustibus non est disputandum” è vero solo entro limiti ben precisi) e che implicano quindi necessariamente deviazioni da esse e anche veri e propri vizi come il, pur desueto, vizio o peccato di “gola”. Nel caso che ci interessa la normatività presuppone necessariamente la differenza biologica dei sessi e si fonda sulla nozione, prima accennata, di natura o essenza umana, una nozione questa che è ovviamente filosofica e non biologica, proprio perché l’animalità è trasformata e trascesa nell’uomo dalla razionalità.
In assenza di una nozione di natura o essenza umana non abbiamo la possibilità di giustificare alcuna norma, nemmeno quella della liberazione “sessuale”. L’unica prospettiva che si apre è quella del più radicale relativismo: l’unico “criterio” utilizzabile è infatti quello dell’arbitrio soggettivo, del desiderio, e le metamorfosi del desiderio sono illimitate (non a caso la nuova frontiera è oggi il poliamore). Ma in tal modo la stessa ideologia “gender” è destinata ad autodissolversi. Ne costituisce una prova già la moltiplicazione dei generi che procede a ritmo vertiginoso: oggi gli utenti Facebook degli Stati Uniti e del Regno Unito possono scegliere, al momento della registrazione del proprio profilo, tra 70 opzioni di genere! All’interno dell’universo culturale Lgbt, è la cosiddetta teoria “queer” – con la sua conseguente insistenza sulla “gender fluidity” ovvero sulla instabilità e provvisorietà costitutive del “gender” come categoria di identificazione – che porta radicalmente a tale dissoluzione.
Esemplare a tal riguardo è il film del 1999 Gendernauts: A Journey Through Shifting Identities, che, girato negli Stati Uniti e proiettato nel 1999 al Festival Internazionale di Berlino, promuove l’idea della “gender neutrality” ossia: il gender non è una caratteristica che dovremmo usare per definire una persona. Come dice Stafford, “a female to male transsexual” protagonista del film:
I’ve never felt male and I’ve never felt female and I don’t really concern myself with gender. I just let people go the way they will with it and if they’re confused then I let them be confused. Gender confusion is a small price to pay for social progress. They can learn to work around gender. I don’t have to learn how to work around them to be comfortable.
Allegato 1
Il concetto di persona[1]
Introduco il termine “persona”, senza affrontare il problema filosofico della sua definizione, in modo intuitivo e, credo, immediatamente comprensibile: persona è un ente dotato di una dignità inviolabile che lo distingue qualitativamente dalle cose, che sono e devono essere a lui subordinate. Credo che una famosa formula del grande filosofo morale Kant renda con efficacia il senso di questa impostazione:
Tratta l’umanità in te come nell’altrui persona sempre come fine e mai come semplice mezzo.
“Mai come semplice mezzo”: nelle relazioni interumane sono innumerevoli i casi in cui trattiamo gli altri necessariamente come mezzi (il negoziante, l’insegnante, il medico e l’infermiere appunto e anche, come si è visto, il paziente quando, per es., se ne studia la patologia a fini di ricerca). Come si vede, qui il nucleo razionale del paradigma tecnocratico viene pienamente assunto, ma di quel paradigma si respinge la pretesa universalistica. Infatti non dobbiamo mai dimenticare che le persone non vanno mai trattate solo (semplicemente) come mezzi, perché sono appunto persone.
Che l’uomo non si possa usare come se fosse un puro e semplice mezzo – così come si fa invece, legittimamente, con le cose –, significa che l’uomo è, per continuare ad usare l’efficace terminologia di Kant, un “fine in sé”, ossia un fine assoluto e non relativo, un fine che non può essere, a sua volta, mezzo per conseguire un altro fine: uso l’auto come un mezzo al fine di recarmi da mia figlia, mi reco da mia figlia (mezzo) al fine di aiutarla, l’aiuto (mezzo) al fine di evitarle una seria difficoltà, e così via.
Tale impostazione ha immediate applicazioni: che l’uomo è persona significa, per esempio, che non posso e non devo torturare esseri umani (nemmeno per un scopo socialmente accettabile), che non posso e non devo trattare gli altri solo come mezzi per conseguire il mio interesse o il mio piacere ecc. Per me, operatore sanitario, significa, per esempio, che non devo trattare gli esseri umani solo come “casi clinici” oggetto di esperimenti; su un piano più usuale significa che non devo “dimenticare” la sofferenza del paziente, che non devo essere indifferente alle sue aspettative e alle sue legittime e comprensibili richieste, che non devo trattare il paziente come un semplice e magari e spesso fastidioso mezzo con cui sono costretto ad avere a che fare nella mia prestazione lavorativa, che devo rispettare il suo diritto al pudore, e così via.
È significativo che si usi il termine “spersonalizzazione” per indicare in modo negativo la situazione in cui spesso si trovano coloro che sono ospitati in strutture come ospedali, case di cura e istituzioni simili. Spersonalizzazione: ossia oblio, se non addirittura lesione, della mia natura di persona.
La nozione di persona costituisce perciò il limite e il fine di qualsiasi azione tecnica e quindi anche della terapia. All’opposto di quanto sostiene l’attuale ideologia tecnocratica, non tutto ciò che si può fare si deve anche fare: ci sono dei limiti precisi e questi limiti stanno appunto nella persona, sono insiti nel concetto di persona.
Sulla nozione di persona possiamo dire in sintesi quanto segue.
[1] Bioetica/Fileremo/Scuole incontri/2105-11-16/Mariotti differenza …
[2] Robert Spaemann, Persone. Sulla differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”, Roma-Bari 2005, Laterza, pp. 178, 230 sg. (ed. or. tedesca Personen. Versuche über den Unterschied zwischen “etwas” und “jemand”, 1996). Sul piano filosofico persona significa che esiste qualcosa come una essenza dell’uomo, significa cioè che – al di là dei mutamenti storici, sociali, psicologici – l’uomo ha un nucleo stabile, un fine oggettivo: realizzare se stesso come essere razionale, cosciente. L’essenza dell’uomo infatti non consiste nella vita vegetativa e animale (che egli condivide con gli altri esseri viventi, vegetali e animali), ma in ciò che da tale vita lo distingue in modo specifico: la ragione, il logos, che non è solo l’intelletto (il pensiero), ma la capacità di porsi in relazione consapevole con gli altri, ossia di costruire un mondo umano razionale al di sopra di quello della cieca natura biologica.
[3] Ivi, p. 239. Il concetto di potenzialità può sorgere insomma solo nel presupposto della personalità. La persona pertanto è sempre in atto; come la sostanza aristotelica, è realtà prima “che porta in sé la possibilità di una molteplicità di attualizzazioni ulteriori” (Ivi, p. 240). La biologia moderna ha corroborato questa tesi di origine aristotelico-tomista: nel DNA è contenuto tutto il possibile sviluppo di quel determinato individuo.